Come ho scritto in diversi interventi di questo blog, l’informatica sta subendo un cambiamento. Certo, l’informatica è SEMPRE in evoluzione, ma nei prossimi anni questo “avanzamento” (se così si può definire) sarà più profondo rispetto agli ultimi anni. Infatti il computer è sempre più uno strumento utilizzato esclusivamente per andare in rete, inoltre ora è possibile accedere al web anche da moltissimi altri dispositivi. Ecco quindi che, da strumento di elaborazione, i nostri PC sono sempre più vicini a dei terminali.
Similmente a quanto accade in un’architettura Client-Server aziendale, l’evoluzione tecnologica apportata dalle telecomunicazioni ha fatto si che i contenuti di cui usufruiamo comincino a trasferirsi man mano sempre di più verso il web. Se prima scaricavamo l’mp3 per sentire la musica ora ci basta scrivere il nome su youtube e ascoltarla in streaming da lì. Se non vi basta come esempio pensiamo a Facebook: moltissime persone acquistano un PC sono per accedere ai social network, dove i dati sono tutti salvati in rete, il resto del PC è pressoché inutilizzato.
Cloud Computing, in breve |
L’avanzamento delle telecomunicazioni ha insomma portato in un certo senso una involuzione prestazionale dell’hardware, sempre più concentrato sul risparmio energetico che sulle prestazioni. Basti pensare ad esempio alle CPU che montano i netbook e i tablet, prestazioni paragonabili a quelle di processori di 7-8 anni fa, ma autonomie prossime alle 10 ore.
Insomma, una volta raggiunte le prestazioni sufficienti per far girare i contenuti del browser il gioco è fatto, manca solo una cosa: dove memorizzo i dati? Ecco che nasce il Cloud Computing, ovvero la possibilità di salvare i dati su un server remoto per poi accedervi in qualunque momento una volta connessi ad Intenet.
La cosa fa storcere il naso? È vero, l’idea di avere dei dati personali salvati su di un server in qualche parte del mondo non mi rende particolarmente felice, infatti tutt’ora non faccio uso di applicazioni cloud, tipo Dropbox (più che altro perché non ne ho la necessità). Inoltre nel caso non sia possibile accedere ad internet, anche i dati saranno inaccessibili.
La cosa fa storcere il naso? È vero, l’idea di avere dei dati personali salvati su di un server in qualche parte del mondo non mi rende particolarmente felice, infatti tutt’ora non faccio uso di applicazioni cloud, tipo Dropbox (più che altro perché non ne ho la necessità). Inoltre nel caso non sia possibile accedere ad internet, anche i dati saranno inaccessibili.
I dati di migliaia di utenti vengono salvati in stanze simili a questa |
La cosa però risulta estremamente utile nel caso si debba poter lavorare con gli stessi dati da dispositivi diversi: niente backup, niente trasferimenti continui da una postazione all’altra e possibilità di accesso e modifica su dispositivi di ogni tipo. Anche le foto caricate su Facebook sono un esempio di cloud, se per esempio vogliamo far vedere ad un amico le foto delle nostre vacanze, basta accedere, anche da un telefono, e abbiamo subito le foto pronte da sfogliare.
Nell’articolo precedente ho parlato di Chromebook, il primo computer/dispositivo che sfrutta completamente il Cloud Computing. Google infatti è stata (anzi è) una delle prime aziende a puntare di più sul cloud (e vorrei vedere, dato che il web è il suo mercato), creando strumenti innovativi come Google Docs, un editor di documenti simile a Word, ma completamente online, compresi i salvataggi dei file. Anche Microsoft ha dato un suo contributo, sulla falsariga di Docs, con la suite Office Live.
L'uomo ha sempre sognato di volare tra le nuvole, per ora ci possiamo limitare a farci andare i nostri dati (in quelle virtuali si intende) |
Il cloud è solo una delle tante innovazioni informatiche che lo sviluppo della rete ha portato. A mio avviso l’unico grande ostacolo per la diffusione capillare di questo servizio e l’attuale impossibilità di potersi connettere in ogni luogo per accedere ai dati, a conferma di quanto sia necessario lo sviluppo della banda larga nel nostro paese. Per la questione sicurezza si potrebbe dedicare una parentesi a parte, il dover affidare i nostri dai ad un servizio “esterno” crea un forte senso di paura di poterli perdere o che qualcuno possa accedervi senza permesso, però possiamo porci una domanda: è più sicuro un server con dati criptati e sistemi di protezione all’avanguardia o in nostro PC? A mio avviso nessuno dei due.
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